Perché conviene la parità di genere

Perché conviene la parità di genere?

Un po’ di tempo fa ho avuto occasione di intervistare due donne magnifiche impegnate entrambe su fronti diversi per la parità di genere. Da queste interviste, come per molte altre che ho realizzato nei mesi passati, emergono questioni legate a quella che si chiama educazione finanziaria, uno strumento per me fondamentale per realizzare la nostra indipendenza di donne e uomini, consapevolezza e libertà di scelta, in un contesto sociale e politico che a volte è davvero complicato da decifrare.

Allora, per aiutarci a capire, in questa intervista in due parti – una oggi, una sabato prossimo, ti propongo una lettura della realtà attraverso i numeri e un’altra attraverso le risposte di Edi Govoni, consulente Web Marketing strategico e di Lia La Barbera, Avvocata specializzata in diritto commerciale.

I risultati dell’uguaglianza di genere

Partiamo dal fatto che secondo l’istituto Europeo Uguaglianza di Genere (EIGE) l’uguaglianza di genere porterebbe a questi risultati: l’aumento del PIL del 12% entro il 2050, un rafforzamento in termini di competitività a livello europeo, aumentando le esportazioni dall’1,6 al 2,3%; un aumento dei tassi di prospettive di vita e un miglioramento del tasso occupazionale sia degli uomini che delle donne.
In breve, il problema del gender gap porterebbe ad una convenienza per tutti, uomini e donne.

Sara: Edi, ci vuoi parlare dell’evoluzione del nostro percorso come donne?
Edi: certo e parto con il dire che è sempre più necessario per noi donne fare delle riflessioni su noi stesse, sul rapporto con il mondo del lavoro, a partire dalla preparazione culturale, per affrontare ciò che la vita ci pone davanti, sia che si tratti di eventi pianificati, oppure no.
Allora pensiamo che, da quando siamo bambine e poi giovani ragazze – e infine giovani donne, le fasi che attraversiamo riguardano l’educazione e la formazione, che poi sfocia nell’entrata nel mondo del lavoro. Da qui arriva un momento in cui, per età e aspirazioni, siamo portate a desiderare di crearci una famiglia.

Con il matrimonio o la convivenza ci troviamo di fronte – soprattutto con l’arrivo dei figli, a dover calibrare diversamente il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla famiglia. In questa fase cominciano le scelte a volte difficili, in cui ci si trova di fronte a bivi apparenti; senza contare che più si va avanti, più possono subentrare anche problematiche legate ad una eventuale separazione, e quelle dovute alla cura dei genitori anziani.
Ricordiamo che il 38,5% delle donne che se si separa, ha i figli a carico. Insomma, le donne hanno molte questioni da affrontare, che sono tutte sulle loro spalle.
Con il sopraggiungere dell’anzianità (e le donne over 65 sono ben oltre il 40%), le donne smettono di lavorare, ma spesso vengono a trovarsi in una condizione di solitudine, magari aggravata dal sopraggiungere di una patologia da affrontare. A maggior ragione in questa fase le donne dovrebbero avere maggiori strumenti di prevenzione economica che le aiutano ad affrontare ogni eventualità con una maggiore serenità.

Le differenze nell’educazione

Sara: pare che l’impostazione educativa della famiglia si differenzi tra maschi e femmine. Per fare un esempio, secondo un’indagine del 2019 di UnicreditBanca sui conti correnti dei minori, il 98% dei conti di questo tipo sarebbero di solito intestati a bambini maschi piuttosto che alle femmine. Già qui si evidenza il gap tra educazione al risparmio tra maschi e femmine in giovane età.
Le bambine a quanto pare vengono piuttosto educate a “chiedere” se hanno bisogno, con evidente mancanza di una educazione all’indipendenza e alla pianificazione anche in campo economico.
Mediamente, ci dice l’ISTAT le donne sono più istruite degli uomini, perché il 51,7% dei laureati sono donne. Nei master, il 53,7% degli iscritti sono donne.
Questo sta a significare che, se di base le donne hanno una istruzione migliore degli uomini, poi però nel corso della vita sono portate a fare delle scelte di prossimità e non delle scelte di carriera o avanzamento professionale.
La conciliazione dei tempi di famiglia e di lavoro sono a carico delle donne, che sono svantaggiate per cultura e (anche) per mancanza di una legislazione che equipara di fatto i diritti delle donne e degli uomini nel prendersi cura di figli e genitori anziani.
Lia cosa ne pensi, vuoi farci una panoramica della situazione attuale?

Lia: dal punto di vista contrattuale non ci sono differenze tra uomini e donne. Ma in realtà, la capacità delle donne di dedicarsi alla propria carriera, sia come dipendenti, che nell’ambito della libera professione, è molto diversa. Le sollecitazioni a cui sono sottoposte le donne non sono le medesime che per gli uomini. Questo probabilmente per cultura – anche se negli ultimi 60 anni ci sono stati degli interventi legislativi molto rilevanti.

La fatica, il tempo, la dedizione che deve dimostrare una donna per ottenere gli stessi risultati di un uomo sono molto diversi.
Ad esempio, i nostri codici, penale e civile, sono riportati all’epoca della nascita della repubblica o in epoca fascista, e quindi sono piuttosto obsoleti e hanno dovuto aggiornarsi in itinere, adeguandosi al mutamento della società. Tra gli aggiornamenti che vengono riportati di tanto in tanto, per fortuna c’è anche l’equiparazione dei diritti tra uomini e donne. Ma il percorso è in divenire, attraverso una più ampia consapevolezza della necessità di conciliare lavoro e famiglia, che è il grande tema di questi anni.

La “patologia” del matrimonio

Su questo si innesta la tematica di quello che io chiamo “patologia” del matrimonio, ovvero la difficolta di uomini e donne di conciliare famiglia e figli, che porta oggi anche alla disgregazione del rapporto.
Tra le massime figure del passato in campo culturale che hanno posto questi temi ci sono state la scrittrice inglese Virginia Woolf per esempio, ma penso anche alla nostra Maria Montessori, che si è occupata a livello educativo di intraprendere la strada della parità dell’istruzione, della professione e del voto alle donne, riconosciuto solo nel 1945.
Un riconoscimento che segna la prima tappa di una legislazione che, anche a livello internazionale, è proseguita in questo senso. Solo dopo 3 anni la Dichiarazione dei diritti dell’uomo che conferma in maniera definitiva questa parità.
Nella nostra realtà legislativa, sul binario civilistico per esempio c’è stato un cambio epocale che è dato dalla riforma del diritto di famiglia, che muta il concetto di famiglia affrancandola dall’idea patriarcale del pater familia. Fanno seguito la legge sul divorzio e poi sull’aborto del 1978. Tutto a distanza di pochi anni.
Ricordiamo che in precedenza l’aborto era considerato reato e non c’era neppure la possibilità per la donna di pensare di poter avere una scelta.
Insomma, da un certo momento in poi cambiano sostanzialmente i concetti di uomo e di donna, che vengono equiparati tra loro, e contemporaneamente si vira verso l’idea di stato laico.

Sull’altro versante, quello del codice penale, si ottiene l’abolizione del reato di adulterio, previsto in precedenza solo per le donne; e l’introduzione del reato di violenza sessuale (solo nel 1996). Pensiamo che prima di allora, la violenza sessuale era concepita come un reato contro la moralità pubblica, neppure contro l’identità femminile.
Questi cambiamenti nel codice penale sono diventati punti fermi per il riconoscimento dell’individualità e dell’identità della donna.
Quindi, almeno sotto il profilo della legge, uomini e donne sono uguali.

Continuiamo questa interessante intervista con un post la settimana prossima, per chiarirci le idee anche sui dati relativi alla violenza sulle donne, tematica questa più che mai attuale, e sulle opportunità che abbiamo – uomini e donne – per superare il divario.

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